Sono uno sportivo in crisi come lo è stato Roberto Baggio. Il mio corpo sembra un enorme e pesante fardello da dover trascinare. Mi infortuno ripetutamente a distanza di tempo nonostante la terapia sembra guarirmi. Non so più che fare.

“Circa 3 mesi fa ero al campo di calcio ad allenarmi. E dopo appena un’ora dall’inizio dell’allenamento, tipo nella seconda ora…

…in un cambio di direzione in velocità…

… mentre inseguivo un avversario…

… la punta del piede sx è rimasta “impuntata” al terreno.

Ho sentito una scossa fortissima dietro alla parte esterna della caviglia.

Cosi, mi sono accasciato per terra. Sono trascorsi alcuni minuti prima di recuperare e successivamente ho messo il ghiaccio sospendendo l’allenamento.

I primissimi giorni immediatamente dopo a questo nuovo infortunio, il piede era più gonfio. Ma nonostante ciò, riuscivo a camminarci tranquillamente.

Dopo una settimana andava discretamente meglio e ho fatto qualche allenamento in sala pesi per tutto il corpo.

Ma ancora oggi percepisco una specie di blocco alla caviglia.

Dopotutto, trascorso quasi un mese, sono tornato in campo.

Ho fatto qualche giro corricchiando, ma una volta tornato a casa mi è si gonfiato di nuovo il piede. E ancora oggi, sento che la caviglia non è libera. Percepisco una ridotta mobilità e una scossa ogni tanto.

Cosa devo fare adesso?

Considera che avevo appena recuperato da un infortunio al quadricipite dx qualche giorno prima dell’incidente con la caviglia.”

Questo è ciò che mi ha raccontato un ragazzo ventenne giovedi scorso alle 13.45 circa.

Vedi, il problema della maggior parte degli sportivi (e di chi li segue) è molto spesso legato a una serie di convinzioni.

Le quali li portano a ignorare totalmente il triangolo dell’allenamento. Probabilmente lo conoscono. Ma quasi nessuno lo applica correttamente.

Quale è questo triangolo?

Il triangolo equilatero (secondo la “visione classica”) della supercompensazione che comprende allenamento, alimentazione e recupero.

Seguimi perché te ne parlerò in un’accezione un po’ diversa (se lo conosci) da come lo trovi in giro.

La versione classica sostiene che per ottenere progressi in qualunque sport ciascuno dei tre elementi, debba essere bilanciato al 33% per ogni vertice.

Tuttavia, non solo non è sempre vero e dipende dalla persona che abbiamo di fronte. Ma soprattutto in Italia è stato totalmente frainteso il concetto di recupero. Confuso con quello di riposo.

Ma cosa c’entra con la storia di questo ragazzo ventenne?

Il concetto è semplice.

Perché?

Perché una persona che gioca a calcio o fa sport e quindi oggigiorno si allena, non tiene in considerazione gli altri due vertici del triangolo.

E cioè il recupero (e non il riposo) e l’alimentazione.

Ora, se una persona si infortuna ripetutamente nel tempo, non è quasi mai una coincidenza e devi ricordarti di una cosa.

Esiste una sorta di tessuto che avvolge tutto il nostro corpo come se fosse una muta da sub.

Questo tessuto non è altro che la velina bianca che avvolge la carne in macelleria o se preferisci, il callo bianco che si trova subito sotto la scorza di un limone.

Quindi, cosa succede se di base una persona ha questa muta da sub che avvolge tutto il corpo di una o due taglie più piccola?

Che cosa succede man mano che aumenta il carico dell’allenamento?

Questa muta da sub si accorcia restringendosi sempre di più. E restringendosi, al primo movimento, come per esempio quando si solleva una gamba, può insorgere uno stiramento.

O un dolore.

Questo avviene perché la muta da sub è talmente stretta che inevitabilmente quando si aumenta il carico allenante, insorgono, tornano o aumentano i sintomi .

Ora.

Il vero problema qual è?

Immagina che più tu carichi, più questa muta si restringe.

Quindi nel momento in cui una persona ha un qualunque sintomo e si reca per fare un trattamento da un terapista, che cosa succede?

Succede che, la diciamo semplice, il terapista “stira” la muta, aumentandone le taglie (come se fosse un sarto) in maniera tale che il soggetto possa starci comodo e muoversi liberamente all’interno.

Ma qui sorge un’altra rogna.

Una bilancia sbilanciata.

Su un piatto della bilancia abbiamo 4 ore di allenamento (carico) minimo a settimana. Più le partite. Più le amichevoli.

Tutto questo in un mese significa tra 20 e 30 ore di carico.

Che in un anno sono fino a 400 ore se non di più. (e che fai non vai a fare la partitella con gli amici o sulla neve o sulla spiaggia?).

Mentre sull’altro piatto della bilancia abbiamo un po’ di terapia che nella migliore delle ipotesi quando adatta al soggetto e ben bilanciata è di qualche ora a settimana/mese.

Quindi in un anno forse non arriviamo neanche a 12 ore.

Ecco perchè su un piatto della bilancia avremo fino a 400 ore di carico, sull’altro 12 di terapia (forse) per compensare.

Una differenza di appena il 97% circa.

Capisci bene che il confronto non regge. Non può reggere.

Cosi, il piatto della bilancia pende a favore del carico eccessivo.

Quindi ti alleni e cioè carichi, poi fai un po’ di terapia al bisogno. Cosi la famosa “muta” fa un effetto zig zag.

Ecco perché è facile comprendere la ragione per cui rimarrà sempre più stretta e corta.

Molto più stretta rispetto a quello che dovrebbe essere quel margine tale da poter permettere alla persona di non avere fastidi e/o dolori.

Ed essere quindi performante.

Foto LaPresse – P.G 25/01/2015 Verona ( Italia) Sport Calcio Verona- Atalanta Campionato di Calcio Serie A TIM 2014 2015 – Stadio Bentegodi Nella foto:rovesciata di pinilla Photo LaPresse – P.G 25/01/ 2015 Verona ( Italy) Sport Soccer Verona – Atalanta Italian Football Championship League A TIM 2014 2015 – Bentegodi Stadium In the pic:pinilla

Ma tornando al triangolo della supercompensazione, allenatori, ragazzi e sportivi lo sottovalutano (sono stato anche io in questa condizione).

Sottovalutano l’importanza del recupero e dell’alimentazione, perché da un certo punto di vista alcuni si scocciano, altri il triangolo neanche lo conoscono. Altri ancora non lo applicano.

E quindi come si fa a tenere in considerazione l’angolo dell’allenamento e quello del recupero?

Intanto dobbiamo chiarire che recupero e riposo non sono la stessa cosa.

Il riposo è quando stai sul divano o a letto.

Il recupero invece riguarda tutte quelle attività come:

  • la mobilità articolare (secondo il metodo painless);
  • la meditazione, lo yoga, il pilates (secondo metodo ABC);
  • il reset delle onde cerebrali a livello mentale/cardiaco.

Tutti approcci che permettono la riossigenazione del corpo (per dirla in maniera molto facile) secondo il sistema #aschienadritta (il primo sistema in Italia integralmente rivolto alla Salute di corpo e mente).

Ma consideriamo adesso anche l’aspetto nutrizionale.

Tutti sanno che se mettiamo del diesel in un serbatoio a benzina ci troveremo di fronte a qualche guaio presto o tardi.  

Quindi se l’atleta o lo sportivo, non assume del cibo adeguato e pertinente alla sua struttura/metabolismo, il tessuto di cui ti parlavo prima (la famosa muta da sub) andrà facilmente incontro a un infiammazione cronica.

E siccome questo tessuto/muta è presente in tutto il corpo questa sarà sistemica (relativa a tutto l’organismo).

Perché andrà facilmente incontro a infiammazione?

Perché questo tessuto è molto suscettibile alla qualità del cibo che ingeriamo. Il quale se è tendenzialmente acido genererà nel medio/lungo periodo uno stato di flogosi (infiammazione).

E  anche se tu fai terapia o integri quelle attività di recupero che ho menzionato continuerai ad infortunarti a distanza di mesi, senza capire il perché (hai reso il tessuto debole nel tempo).

NB. Attività di recupero che  vanno ben equilibrate fra loro, motivo per cui il triangolo non sempre è equilatero e dipende dal soggetto che ho di fronte.

Questo che cosa vuol dire?

Vuol dire che ti puoi allenare bene quanto vuoi, puoi recuperare bene quanto vuoi, ma se non mangi bene (adatto al tuo metabolismo/somatotipo) rischi comunque di andare incontro a infortuni ripetuti.

Viceversa il concetto è analogo per quanto riguarda gli altri angoli.

Quindi il concetto qual è?

Il concetto è:

A) Innanzitutto devi rivolgerti a un terapista che conosce queste nozioni.

B) Scegline uno esperto di corpo e mente.

Per quale ragione?

Perché nel vertice del recupero ci sono anche attività che riguardano il mindset. E cioè l’aspetto mentale ed emotivo.

Quindi ti serve non solo un terapista che sappia calibrare questo triangolo che per l’accezione classica è equilatero, e che invece adesso sai che non deve essere sempre cosi.

Ma qualcuno che usi la testa, ti consideri come una persona e non come un protocollo.

Infatti in funzione di ciò che ti serve in questo momento se su di te viene applicato un “traingolo equilatero” non fai altro che fare danno.

Quindi no solo alla terapia, no a un triangolo equilatero bensì ancora una volta a un buon equilibrio tra quelli che sono gli elementi che compongono la salute di corpo e mente.

Ora, arrivati a questo punto, se il tuo obiettivo è quello di eliminare e/o ridurre il tuo dolore fisico ed emotivo…

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